mercoledì 8 febbraio 2012

Vecchie pellicole e molle cigolanti

Prendete un giorno a caso, siete appena usciti dall'ufficio con la sensazione di essere rimasti incastrati a metà di una settimana che non vuole saperne di finire.
Scorrete senza reale interesse la programmazione di un paio di cinema che vi siete segnati durante la giornata; state per passare oltre, quando la vostra attenzione ricade su un titolo troppo lungo per appartenere a un film contemporaneo. Strabuzzate gli occhi, tornate indietro e rileggete: non vi state sbagliando, è proprio uno dei capolavori di Kubrick. Ultima proiezione.
Nel giro di dieci minuti avete già allertato gli amici, ma con vostro sommo sbigottimento nessuno ne sa nulla, né pare interessato. 
Al diavolo.

La sala è a tre chilometri da casa, ma avete la falcata olimpica dell'uomo assetato d'arte e in mezz'ora siete lì.
Entrate con tale foga che mancate la biglietteria e siete costretti a tornare sui vostri passi: d'altronde questo è il cinema americano per antonomasia, con la sua bombatura che svetta sul profilo regolare degli edifici circostanti, per trasmettere al mondo i titoli delle proiezioni odierne attraverso le sue stondate lettere bianche su sfondo nero (un classico curved marquee, in poche parole); con la biglietteria all'ingresso, ma all'esterno, sulla strada; con i sedili reclinabili, a suon di molle cigolanti; con, vivaddio, sala unica, niente galleria. E con chissà cos'altro che vi siete persi, immersi come eravate nel vostro anelito d'arte visiva, più che nell'architettura di ciò che vi circondava.
Sospettate, senza però controllare, che da qualche parte sotto il sedile ci sia anche una cappelliera per il vostro Stetson.

In sala dieci, forse quindici persone, iniziati come voi di una setta ormai in via di estinzione. Ve ne compiacete, perché sotto sotto siete il solito snob e pensate come sempre che il problema stia nelle poltrone vuote, non in quelle occupate.
Al diavolo.

Buio in sala, ed è tutto per voi.

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