martedì 6 marzo 2012

Divine, windy city by the lake

E infine accadde l'irreparabile: scuotendomi dal mio torpore, qualcuno mi convinse ad abbandonare l'Ontario un grigio venerdì pomeriggio, per avventurarci nel Midwest. Acconsentii bofonchiando, senza troppa convinzione.

Qualche ora dopo, ottenuto un visto senza eccessivi patemi, un motel del Michigan, perso nel tipico paesaggio locale di nulla cosmico puntellato di fast food - credo, quindi, che non fossimo lontani da Detroit - ci accoglieva sulla sua moquette posticcia.
La mattina dopo il viaggio proseguiva, monotono e fuori dal tempo, tra alberi di un colore indescrivibilmente piatto, highway sterminate e truck cromati di dimensioni ragguardevoli, finché all'altezza dell'uscita per Parma credetti di aver ormai perso del tutto il lume della ragione e mi abbandonai ad un sonno delirante, mentre l'Indiana si accingeva a scorrere placido sotto le nostre ruote.

Poi accadde che mi svegliai di soprassalto, colpito da una luce insistente: non saprei descrivervi ciò che vidi, ma per fortuna non ero il primo a passare di lì. Un collega più anziano, grande pioniere della blogosfera, ci lasciò queste parole a proposito: "La bellezza ch’io vidi si trasmoda / non pur di là da noi, ma certo io credo / che solo il suo fattor tutta la goda" [Pa., XXX, 19-21].

Mi permetto di aggiungere alle sue parole un supporto visivo, per assicurarmi che la vostra esperienza si avvicini alla nostr... ehm, alla mia.

Più o meno ci siamo capiti, no?

Da quel momento prese il via una due giorni di contemplazione estatica del panorama metropolitano e di ridefinizione dei miei canoni estetici, roba che al confronto Toronto sembra davvero una cartolina sbiadita.

Cercare di parlarvi dell'ineffabile sarebbe un esercizio futile: l'impressione era quella di avventurarsi in una città con fondamenta solide e una decisa proiezione al futuro, ed entrambe le cose perseguite ricercando l'eccellenza; un luogo costantemente in divenire, che però non ha mai abbandonato la propria anima più profonda.

La musica che fuoriesce da certi locali blues parla di amori impossibili inseguiti in eterno, e lo fa con la voce straziata di attempati musicisti, tanto vissuti quanto credibili; le trame sonore sprigionano una tale densità, un tale spessore vitale che le si potrebbe infilare in una teglia da deep dish e infornarle, fino ad ottenere quel sapore inconfondibile che solo lì sanno creare.

Vi lascio in compagnia di qualche scatto da Chicago, città in cui ho lasciato un pezzettino di me stesso, che un giorno o l'altro spero di poter andare a riprendere.

(E no, non sono riuscito a trovare i nazisti dell'Illinois).

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