venerdì 13 aprile 2012

Un salto in Europa (e ritorno)

Ci sono viaggi studiati a tavolino per mesi che finiscono per mantenere solo una minima parte delle promesse iniziali, solamente perché non avete selezionato con altrettanta cura la compagnia.
Ci sono viaggi in cui non vorreste neanche partire, proprio per questo motivo, ma una volta arrivati siete così strabiliati dalla meta da non poter fare altro che infischiarvene di tutto ciò che vi accade attorno.
Ci sono viaggi solitari, in cui vi sentite liberi e indipendenti, in grado di cogliere ogni occasione di apprendere vi si pari davanti; non lo nego, questi non sono mai abbastanza.
Ci sono viaggi in cui avete qualcuno ad attendervi: viaggi con un esito spesso imprevedibile, dipendendo in gran parte dall'alchimia che si verrà a creare tra di voi ed il vostro anfitrione.
E poi ci sono i ritorni, ma di quelli parleremo quando sarà il momento... o forse non ne parleremo affatto, visto che non ce ne sarà uno. Paura, eh?

Secondo questa scriteriata tassonomia, questa volta mi è capitato in sorte un viaggio ravvicinato del 4º tipo, che mi ha portato a cambiare provincia ma non Stato, anche se, ormai l'avrete capito, uno spostamento del genere in uno Stato federale equivale ad un salto ben maggiore di quanto indicato dalle cartine. Tanto più se passiamo dall'amerikano Ontario alla tanto agognata francophonie canadese, il Québec.
Probabilmente qualche pennivendolo da quattro soldi ha già vergato anche troppe righe sulle proprietà terapeutiche del viaggio, per cui mi limiterò a sottolineare come questo sia stato per me lo spartiacque tra un periodo relativamente insoddisfacente e una nuova primavera, che ha investito la mia sfera interiore più che l'ambiente circostante.
Non so dire se ciò sia dovuto alla ritrovata salute, al cielo che pare sempre aprirsi non appena mi metto in cammino, alla delizia di scoprire persone affini su cui si può contare, al lasciarsi coccolare da una poutine e da qualche pancake, o forse alla sensazione di essere da qualche parte in Europa, eppure lontano da casa, quindi, va da sé, in Erasmus.

Insomma, lasciate che ve lo dica, frustrando forse le speranze di chi si attende dettagliati reportage da Montréal: questa volta non è stato turismo, è stato un prendermi cura di me stesso.
Ci saranno altre occasioni per fare conoscenza più approfonditamente con quelle terre, non lo dubito, ma prima mi conviene studiare il francese giusto qualche lustro in più.

Comme d'habitude, il vostro girovago vi saluta con qualche scatto, nella speranza di non deludervi.

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