Flashback: sono sull'aereo; il comandante annuncia che su Toronto, fino al giorno prima baciata da un inverno quasi tropicale, è in corso una tempesta di neve. Faccio l'indiano e mi rimetto a dormire.
Flashforward di qualche ora: superate le sabbie mobili della frontiera e arrivato in centro, mi trovo per strada, alla ricerca dell'ostello. La bufera è ormai passata, ma deduco che il mio trolley a 4 ruote motrici non ha passato il collaudo sui marciapiedi ghiacciati di questa città.
Tra questi due momenti, però, oltre ad essere accolto e indirizzato verso il centro da Giovanni, vecchia conoscenza senese, faccio amicizia con il più caratteristico dei mezzi di trasporto torontoniani: lo streetcar.
Eventuali metropolitani all'ascolto sono autorizzati a darmi del paesano che non ha mai visto un tram vecchio stile, eppure questo mezzo pubblico scandisce la vita della Downtown in un modo che non poteva solleticare la mia curiosità, tant'è che è andato a finire pure nel titolo del blog.
Tanto per iniziare, ci troviamo in Nord America, quindi le strade sono, per definizione, dritte, razionali, foolproof. Gli streetcar, perciò, procedono dritti sulla stessa via per gran parte del loro tracciato, il che potrà sembrarvi una fesseria se siete abituati alle distanze di Parma o di Siena, ma dopo 4 0 5 chilometri di cammino senza cambiare strada tutto ciò inizierà ad acquistare senso ai vostri occhi.
Sia chiaro, questa non è un'ode: gli streetcar sono pesanti e sferraglianti, producono vibrazioni in grado di far tremare tutti i malcapitati inquilini di basement nel raggio di decine di metri, sono incomprensibilmente alti e irraggiungibili quando cercate di issarvici con 30 kg di bagagli e sorprendentemente instabili quando cercate di stazionarvi in piedi; le fermate sono, per forza di cose, nel mezzo di strade molto trafficate; per prenotare la fermata vi dovrete appendere a fili che scorrono lungo le fiancate, cose che neanche a Juba.
Tuttavia gli streetcar hanno anche un lato romantico e, se vogliamo, portoghese.
Mentre state contando le dita dei piedi che presto vi toccherà amputare, essi appaiono nella notte come velieri che solcano, lenti e inesorabili, la giungla urbana: e, anche se per l'ennesima volta non avete capito una mazza dei transfer tra un servizio e l'altro, il conducente saprà esservi amico e vi lascerà passare comunque, invitandovi a sedere con gesti energici. Dall'altro lato, anche il torontoniano medio, vedendovi arrivare sperduto dall'aeroporto, vi inviterà a salire insieme a lui senza preoccuparvi troppo di biglietti e altre menate, tanto è l'ora di punta e si sta schiacciati come sardine. Queste, sia chiaro, sono gocce di quieto disordine che non turbano il mare del placido rispetto delle regole che anima anche la vita degli streetcar, come degli altri utenti della strada in Canada.
E nonostante sia qui da poco, mi rivedo già, tornato in Europa, titubante davanti ad un incrocio, senza riuscire a decidermi ad attraversare senza sentire dietro di me lo scampanare gioioso e rassicurante di uno streetcar.
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